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04.03.2022, 19 Uhr (ONLINE)
LEGGENDE E STORIE NAPOLETANE
Dott. Claudia ANNUNZIATA presenta la sua città
LEGGENDE E STORIE NAPOLETANE
Napoli è una città in cui il mito e la realtà, la leggenda e la storia convivono e tessono le fila di una narrazione che ha del magico e dell’incredibile in ogni suo più piccolo aspetto.
Le origini stesse della città sono antichissime e, secondo la leggenda, la sua fondazione è da ricondurre alla Sirena Partenope. Questa figura mitologica è descritta da Omero nel XII canto dell’Odissea ed è famosa per il suo canto melodioso. Ulisse, noto per la sua curiosità, volle ascoltare a tutti i costi il canto delle sirene, le quali attraevano i navigatori con le loro voci angeliche e li ammaliavano per poi ucciderli. Avvisato dalla maga Circe, l’eroe decise di adottare delle precauzioni: ordinò ai suoi uomini di mettere dei tappi di cera alle orecchie e si fece legare all’albero maestro della sua nave, vietando alla ciurma di slegarlo. In questo modo Ulisse non cadde preda delle dolci creature marine, che, sopraffatte dal dolore e dalla delusione per non essere riuscite ad ingannarlo, si suicidarono gettandosi sugli scogli. La sirena Partenope fu portata dalle correnti marine tra le rocce di Megaride, dove oggi sorge Castel dell’Ovo. Lì fu trovata da dei pescatori che iniziarono a venerarla come una dea. Tuttavia, dopo essere giunta sull’isolotto, il suo corpo si dissolse e si trasformò nel paesaggio partenopeo: il suo capo poggia ad oriente, sull’altura di Capodimonte, e i piedi sono ad occidente, verso il promontorio di Posillipo. Così Partenope divenne la protettrice di quel luogo e diede il suo nome al piccolo villaggio dove oggi sorge Napoli e i cui abitanti continuano a definirsi partenopei.
Napoli è una città controversa, che nel bene o nel male si è spesso trovata al centro di animati dibattiti. Capitale del Regno di Napoli fino all’Unità, è stata palcoscenico di grandi scontri, culla di brillanti menti, amante crudele e generosa che ha fatto innamorare di sé illustri pensatori e poeti.
Napoli è sopravvissuta a invasioni straniere, eruzioni vulcaniche, terremoti e rivolte popolari. Tanto è stato detto e scritto sul suo conto nel tentativo di abbracciarne ogni più piccolo aspetto e sfaccettatura, cercando di cogliere il segreto che si trova alle spalle della sua vitalità, cosa la renda così detestabile e indispensabile allo stesso tempo, perché una cosa è certa: dopo aver vissuto Napoli, è difficile dimenticarla. Questa entra sotto pelle, inebria i sensi con i suoi paesaggi, i suoi sapori, i suoi profumi e la sua musica.
Napoli è un paradiso perduto, città dimenticata, teatro a cielo aperto, dove il fascino dell’antico e della rovina si impone sulla fantasia e subito la mente viaggia verso epoche distanti, immaginando la gloria passata di una città che non sembra essere in grado di rinascere dalle sue ceneri e che invece arranca, pur conservando la memoria della sua regalità e grandiosità.
Napoli è città dei contrari, dell’esagerazione, dove è possibile incontrare il bene più puro e il male più vile. È una città viva e vitale che nasconde una profonda tristezza e malinconia e dove lo scherno e la beffa la fanno da padrone, nell’ottica in cui la vita non debba essere presa sul serio. Sarà per questo che nella Commedia dell’Arte la maschera di Pulcinella si afferma con tutto il suo carico di significati.
Infatti Pulcinella è il simbolo di Napoli e della “napoletanità”. Indossa un camicione bianco con larghi pantaloni bianchi, ha un cinturone nero in vita, il ventre sporgente, scarpette nere, un cappuccio bianco in testa e una grossa maschera al viso che lascia scoperta sola la bocca; ha un naso ricurvo, le rughe sulla fronte e un’espressione alquanto inquietante. È un servo furbo e pigro, ha la voce stridula e acuta, cammina in maniera goffa, gesticola in modo tanto eccessivo che quando deve mostrare la sua gioia, lo fa in maniera plateale: comincia a saltellare, danzare, cantare e gridare. Ama vivere alla giornata sfruttando la sua astuzia e girovagare tutto il giorno per i vicoli e i quartieri di Napoli adeguandosi a qualsiasi situazione: ora è un abile impostore, ora è un ladro, ora è un ciarlatano, ora è un povero affamato, ora è un ricco prepotente. È spontaneo, semplice, simpatico, divertente, chiacchierone, dispettoso, avventuriero, generoso, malinconico, credulone, combattivo e inaffidabile. Metaforicamente la maschera simboleggia la plebe napoletana che, stanca degli abusi e delle umiliazioni ricevute dalla cinica borghesia, si ribella a questi disumani potenti che hanno fatto di tutto per rendere nel corso dei secoli la vita dura e avversa al popolo partenopeo. Quindi Pulcinella rispecchia la voglia di rivincita di quest’ultimo. Con la sua ironia e con la sua forza si burla del potere sottolineando la sua volontà di vivere e superare gli ostacoli. Infatti Napoli è la città dove si impara l’arte di vivere e dell’arrangiarsi, dove la fantasia e l’astuzia regnano. Napoli, infine, è la città dove il sacro incontra il profano, dove vita e morte si intrecciano, dove chi è in vita si prende cura delle anime dei defunti, creando un legame liturgico tra vivi e trapassati e portando all’affermazione nella città del culto delle anime del Purgatorio secondo il quale i vivi, come mezzo per espiare i peccati terreni, si preoccupano di favorire l’ascesa delle anime in Paradiso e di assicurare loro il refrigerio dalle fiamme del Purgatorio durante il periodo di tribolazione. Ma a Napoli la relazione diretta con l’anima va oltre: oggetto di culto diventano le anime anonime, quelle abbandonate, quelle i cui corpi, che non avevano beneficiato dei riti di compianto, venivano sepolti nelle fosse comuni. Il rapporto si stabilisce attraverso l’adozione di un teschio, secondo la tradizione sede dell’anima, che viene scelto, curato, accudito e ospitato in apposite nicchie. L’anima pezzentella (dal latino petere: chiedere per ottenere), anima anonima o abbandonata, invoca il refrisco, l’alleviamento della pena, e colui che l’ha adottata in cambio le chiede grazia e assistenza. Da tempo immemore l’affetto e la devozione popolare si prendono cura di crani senza nome, identificati con le anime del Purgatorio. Anime il cui abbandono continuerebbe anche nell’altra vita se non fosse per le cure amorevoli dei devoti. L’antico culto, sopravvissuto a guerre e carestie, si manifesta nel tempo in tutta la sua intensità, tanto che nel 1969 il Cardinale Ursi lo vieta perché era oramai troppo diffuso il ricorrere a resti anonimi, piuttosto che ai santi.
A Napoli regnano l’occulto e il mistero, tutto ha una spiegazione, un suo perché, che va spesso al di là di ogni logica ed è solo tenendo a mente tutti questi aspetti, queste sfaccettature, che è possibile avvicinarsi all’anima napoletana, alle ragioni ataviche che muovono ogni suo gesto, dal più infimo al più glorioso.
Dott. Claudia ANNUNZIATA